Un santuario del Neolitico. A Lama Santa Croce di Bisceglie si venerava la Grande Madre

Un santuario del Neolitico. A Lama Santa Croce di Bisceglie si venerava la Grande Madre
di FRANCESCA RADINA*
29 OTTOBRE 2009, CORRIERE DEL MEZZOGIORNO

Tesori di Puglia

Per l’intensificarsi delle ricerche archeologiche sempre più specializzate, il Neolitico dell’area apulo-materana, ed in particolare nelle Murge pugliesi, a partire da circa ottomila anni fa ormai ben si caratterizza non solo per le attestazioni di pieno attecchimento della civiltà a base agricola, con lo sviluppo di insediamenti a carattere stabile, ma anche per il ricorso a grandi cavità carsiche. La documentazione indica in questo caso lo svolgimento di pratiche rituali da parte di gruppi diversi, probabilmente in rapporto tra loro, ispirate ad una religiosità che ruota intorno agli attributi, identificabili negli elementi naturali, di un’entità identificabile nella Grande Madre. Ad essa è da correlare un codice preciso di segni e simboli ripetitivi e di ampia diffusione, archeologicamente riconoscibile tra gli altri elementi da focolari, buche, recinti in pietra, deposizione di offerte, e assai probabilmente da rappresentazioni antropomorfe a rilievo, incise o dipinte sul corpo dei vasi in argilla, soprattutto con i tratti del volto umano, o addirittura, in una fase più matura del Neolitico, da statuette di chiaro soggetto femminile. Un contesto particolarmente evidente del genere è visitabile da qualche anno all’interno di Grotta Santa Croce, grande cavità naturale che si apre maestosamente sugli spalti di lama Santa Croce, a qualche chilometro dall’abitato di Bisceglie in direzione di Corato, nel bosco di mandorli e ulivi tipico della nostra campagna barese.

Interamente percorribile per qualche centinaio di metri con l’ausilio del Gruppo Scout di Bisceglie che gestisce il parco naturale, la grotta principale era già ben nota per le scoperte di Luigi Cardini degli anni Cinquanta del secolo scorso, che evidenziarono lo stanziamento di gruppi di cacciatori neanderthaliani, testimoniati anche da rinvenimenti fossili umani illustrati da un’esposizione didattica all’interno. Nuovi scavi della Soprintendenza per i Beni archeologici della Puglia e dell’Università di Siena consentono ora di apprezzare un contesto unico nel suo genere per la estrema deperibilità del materiale, datato al radiocarbonio al 5.000 a.C., ricollegabile agli elementi primari della Terra, come l’acqua, produttrice di vita e benessere. Presso alcune fossette in cui si raccoglieva l’acqua di stillicidio dalla volta della grotta, in un angolo poco illuminato dalla luce dell’esterno era stata deposta una stuoia in fibre vegetali intrecciate, dotata di manici per il trasporto, per la deposizione di offerte, di cui rimaneva in parte traccia nelle centinaia di cariossidi di cereali, conservatasi grazie alle condizioni di umidità dell’ambiente. Un sapiente intervento di conservazione al momento del ritrovamento consente ancora oggi di fruire della scoperta, che ha avuto un’eccezionale rilevanza in ambito scientifico internazionale. Sulla parete della grotta alcuni segni circolari dipinti in rosso sulle pareti marcavano tale preziosa presenza, secondo un linguaggio con l’evidente funzione di forte richiamo simbolico per i frequentatori della cavità, ricollegabile sempre sulla stessa parete in prossimità dell’ingresso, con un gruppo più consistente di pitture in rosso, con quattro motivi circolari vuoti all’interno e raggiati all’esterno da appendici circolari entro un quadrante marginato da pennellate di colore rosso.

*Soprintendenza per i Beni archeologici della Puglia

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