L´acropoli di Vassallaggi secoli di gloria e di oblio

L´acropoli di Vassallaggi secoli di gloria e di oblio
SALVATORE FALZONE
VENERDÌ, 30 LUGLIO 2010 la repubblica - Palermo

Il sito archeologico del nisseno abbandonato ai tombaroli e alle intemperie

Avamposto militare delle truppe acragantine fu teatro delle guerre tra sicani e siculi Col tiranno agrigentino Falaride divenne grande città

La strada è tutta buche, il cancello chiuso, lo spiazzale fuori uso, la guardiola senza guardia. Soffocati dalle sterpaglie, i resti dell´acropoli portati alla luce dagli archeologi Dino Adamesteanu e Piero Orlandini si vedono a malapena. Nessuno vigila più sui reperti. Le mura di cinta, considerate dagli studiosi un capolavoro dell´architettura militare antica (simili a quelle di Capo Soprano a Gela e a quelle di Eraclea Minoa), sono abbandonate a se stesse (un tratto è crollato l´estate scorsa): s´intravedono a stento fra le falle del terreno, addirittura entrano dentro il salone di una villetta privata e disabitata. È scempio a Vassallaggi, importante centro archeologico della Sicilia interna, nel Nisseno, tra San Cataldo e Serradifalco, avamposto militare delle truppe militari acragantine.
Gli esperti ritengono che il "tesoro" di Vassallaggi, sepolto sotto case abbandonate e terreni incolti, sia ancora tutto da scoprire. Del resto la città sorgeva su cinque colline, affacciate sui terreni pianeggianti dove scorrevano gli affluenti del Salso e del Platani; colline segnate da tracce remote (tombe a grotticella) che risalgono al bronzo antico. Fu proprio in quel periodo, mentre in Sicilia prendeva piede la cultura di Castelluccio (siamo tra il 2200 e il 1450 a. C.) con le sue ceramiche a superficie rossastra e decorazioni in nero, che un drappello di pastori vi piantò baracca e innalzò delle capanne circolari, fatte di roccia, pietra e tronchi d´albero. Poi di questo villaggio non se ne seppe più nulla: nessuna traccia della presenza dell´uomo durante l´età del bronzo medio e di quello recente e finale.
Probabilmente il villaggio rimase disabitato perché sprovvisto di apparati difensivi: indispensabili per proteggere le comunità sicane dalle incursioni dei siculi. Sul finire dell´VIII secolo iniziò la lenta risurrezione di quelle colline, occupate da gruppi indigeni di etnia sicana. E agli inizi del VI secolo arrivarono i greci (che già da tempo erano approdati sulle coste della Sicilia). Ma la svolta si ebbe con Falaride, tiranno di Agrigento, che si era messo in testa di conquistare anche i centri indigeni per tenere d´occhio le vie di penetrazione commerciale e militare verso l´interno e nella Sicilia settentrionale, cioè fin sulla costa: da lì infatti, con buona pace di Himera, avrebbe potuto controllare i traffici del Tirreno. Così, grazie al disegno di espansionismo politico del tiranno e grazie alla sua posizione geografica, Vassallaggi cambiò faccia: e da villaggio diventò cittadella militare.
Come la presero i sicani? Le fonti tacciono, ma è probabile che i greci di Akragas dovettero ricorrere alle armi per assoggettare quella gente, poco evoluta e molto gelosa delle proprie tradizioni. In ogni caso, la cittadella fu tirata su: e aveva (secondo Orlandini) la sua agorà dove fare affari e politica, i suoi spazi per invocare gli dei e quelli per seppellire i morti. Di sicuro, sul pianoro della seconda collina, fu costruito il santuario di Demetra e Kore, protettrici della terra, riccamente decorato, nei pressi del quale sono stati rinvenuti una gran quantità di statuette votive. Insomma, nel V secolo la cittadella era una vera e propria (piccola) polis, che batteva moneta e subiva l´influenza acragantina. Sempre in quegli anni fu eretta la cortina muraria, dopo la distruzione del centro firmata Ducezio (centro che potrebbe essere quello di Mothyon di cui parla Diodoro). Alla fine del V secolo Vassallaggi, condividendo la stessa sorte di altre poleis siceliote, fu rasa al suolo dai cartaginesi. Abbandonata, tornerà a rivivere nel secolo successivo grazie alla politica del condottiero corinzio Timoleonte. Prima di scomparire. Scoperta e studiata a partire dall´Ottocento (Paolo Orsi) e infine - ai nostri giorni - di nuovo abbandonata.

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