Il tesoro dei signori del ferro

La Stampa TuttoScienze 30.3.11
Il tesoro dei signori del ferro
Archeologia/1. Riemerge dalle tombe lo sfarzo di una comunità villanoviana di 2800 anni fa Migliaia di reperti testimoniano un’intensa rete di scambi, anche di ambra dal Mar Baltico
di Franco Giubilei

Da questo sperone roccioso che si erge a meno di 20 chilometri da Rimini, gli antichi abitanti di Verucchio potevano controllare la costa adriatica da Ravenna fino ad Ancona, oltre alla principale via per l’Etruria che correva lungo la Val Marecchia. Una posizione strategica anche per il commercio dell’ambra proveniente dal Mar Baltico, la stessa ambra che impreziosisce fibule e altri oggetti rinvenuti nelle sorprendenti necropoli del piccolo Comune romagnolo.
Duemila 800 anni fa qui prosperava una comunità dall’artigianato raffinatissimo, la cui aristocrazia ha voluto lasciare tracce ben riconoscibili del proprio passaggio: «Questi aristocratici, uomini e donne, che dominavano Verucchio fra il IX e il VII secolo avanti Cristo, consolidavano il proprio potere e fornivano una precisa immagine di sé attraverso i riti funebri e i corredi deposti nelle tombe», spiega Patrizia von Eles, archeologa della Soprintendenza per i Beni archeologici dell’Emilia Romagna e direttore scientifico degli scavi e del Museo civico archeologico di Verucchio.
Gli scavi condotti fra il 1969 e il 1972, ripresi poi nel 2005 con mezzi più moderni e proseguiti fino a oggi, hanno portato alla luce 600 sepolture distribuite fra quattro sepolcreti, e con questi migliaia di reperti in bronzo, ambra, ferro, legno e vimini. Il convegno internazionale «Immagini di uomini e donne dalle necropoli villanoviane di Verucchio», in programma dal 20 al 22 aprile, farà il punto sui ritrovamenti e sugli studi interdisciplinari compiuti su tutti questi straordinari oggetti. Come quelli ritrovati nella tomba 12/2005 della necropoli «Lippi», che saranno esposti durante il convegno.
«C’è una cassetta di legno con centinaia di oggetti di bronzo e ferro, spaccati intenzionalmente, messi sul rogo e poi risistemati nella tomba con un significato rituale aggiunge l’archeologa -: attraverso la disposizione degli oggetti si interpreta il senso dei messaggi alla comunità. E’ un sistema di regole e simboli legati all’identità del defunto».
Perle per guerrieri Nelle tombe maschili sono state rinvenute armi, parti di carro, fibule in bronzo e ambra, oltre a ganci di cintura e tessuti per rivestire i cinerari. Ma è stata fatta anche un’altra scoperta: si pensava che le perle appartenessero solo ad abiti femminili, invece ce n’erano pure nelle tombe dei maschi, ma soltanto in quelle dei guerrieri.
Se l’urna cineraria rappresentava simbolicamente il defunto e veniva rivestita con abiti ricamati e addobbati con gioielli, il contenuto rivela invece altri elementi: «Lo studio di quanto è stato bruciato sul rogo restituisce ciò che il defunto rappresentava al momento della morte – racconta la Von Eles –. Un esempio è la deposizione contemporanea o molto vicina nel tempo di due bambini, la cui immagine è ricostruita con un’armatura da futuri guerrieri: entrambi non avevano armi tra gli oggetti che realmente appartenevano loro e che sono stati bruciati, segno che sono morti prima di assumere quello che sarebbe stato il loro ruolo destinato dalle logiche ereditarie».
Ascesa e declino Ne esce un patrimonio ricchissimo, che documenta ascesa, splendore e declino della comunità villanoviana arroccata sui contrafforti riminesi. «La scelta del luogo, che risale alla fine dell’età del bronzo, è legata al controllo della costa e della via per l’Etruria, oltre che dei traffici di ambra dal Mare del Nord. Per molti anni Verucchio si è approvvigionata di ambra, sviluppando teniche artigianali di grande raffinatezza». Il locale museo archeologico, inserito tra i 10 migliori d’Europa, svela reperti eccezionali che si sono conservati grazie alle particolari qualità del terreno: non solo ambra, ma abiti interi, sia maschili che femminili, insieme con oggetti in vimini e legno.
Poi, nel breve volgere di qualche decennio, ecco la decadenza. «Alla fine del VII secolo a.C. tutto finisce rapidamente in appena un cinquantennio – conclude Von Eles -. Forse per ragioni interne, forse perché la capacità della classe degli artigiani di essere all’avanguardia nella lavorazione del ferro, dell’ambra e dei tessuti è entrata in conflitto con la struttura sociale aristocratica in un momento in cui l’Adriatico si sta aprendo al commercio greco. L’impresa riesce a Bologna, che diventa una città, ma non a Verucchio, arroccata sul suo sperone».
Molti oggetti vennero deposti sulle pire funebri e seppelliti accanto al defunto

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