Il vero Hobbit abitava in Indonesia

Corriere della sera, inserto: La Lettura 07.10.2012
Il vero Hobbit abitava in Indonesia
Telmo Pievani


I resti di un piccolo essere umano trovati sull'isola di Flores sconvolgono le teorie sull'evoluzione. È un esemplare di una specie estinta dal cranio minuscolo ma capace di cacciare e usare il fuoco. Le sue origini restano misteriose, eppure fino a 12 mila anni fa convisse con i nostri antenati

L'omino è dispettoso, di quelli che escono nottetempo dalla foresta a seminare scompiglio. Ne conosciamo tanti dalle favole di tutto il mondo, ma quella volta sbucò fuori, non in carne ma in ossa sì, da un sito preistorico dell'Estremo Oriente. E ad essere scompaginate furono le nostre conoscenze scientifiche sull'evoluzione umana. Nel 2003 scienziati australiani e indonesiani coordinati da Mike Morwood rinvennero, nella grotta di Liang Bua, sull'isola di Flores in Indonesia, i resti di un individuo bipede, probabilmente di sesso femminile, con caratteristiche eccezionali. Superava di poco il metro di altezza e il suo cervello era estremamente piccolo. Eppure, primo caso del genere, nonostante la capacità cranica così ridotta sembrava possedere una tecnologia avanzata, padroneggiare il fuoco ed essere un ottimo cacciatore. Che ci faceva un essere tanto particolare, e ben adattato, su un'isola sperduta?
A quel tempo alcuni scienziati sostenevano ancora la tesi secondo cui l'evoluzione di Homo sapiens sarebbe avvenuta progressivamente e in parallelo in diverse regioni del globo, e non a partire da un'origine unica, recente e africana. Con il filtro di questa visione «multiregionale», gli strani esemplari di Flores furono interpretati come una popolazione locale di Homo sapiens malati di microcefalia, di cretinismo congenito, o affetti da qualche altra malformazione. Ma le perplessità verso questa ipotesi ad hoc si fecero subito sentire: c'era ben poco della nostra specie, con o senza patologie, nell'aspetto degli antichi abitanti di Liang Bua.
Così il mistero si infittì e da Flores arrivarono altre sorprese. Le dimensioni ridotte e le proporzioni del corpo analoghe a quelle di forme molto arcaiche del genere Homo, seppur rimpicciolite, fecero pensare che si trattasse di una popolazione asiatica, forse di Homo erectus, spintasi fino agli estremi del suo areale e rimasta bloccata sull'isola a causa delle oscillazioni del livello dei mari. Essendo un puzzle inedito di caratteri, gli scopritori ritennero che vi fossero tutti i crismi di particolarità per assegnare a questo unicum evolutivo un nuovo nome di specie. Era il 27 ottobre 2004 e su «Nature» il paleoantropologo Peter Brown, con Morwood e gli altri del gruppo, presentò al mondo una nuova specie umana: Homo floresiensis.
Fu un putiferio. Gli strascichi della dura contesa tra scienziati rivali, con accuse di manipolazione dei reperti e rivendicazioni nazionali, si trascinano ancora oggi. Per un certo periodo un influente paleoantropologo indonesiano, fervente sostenitore dell'ipotesi multiregionale, riuscì persino a sottrarre i fossili e a non farli studiare agli avversari. Ma le caratteristiche morfologiche di questo omino lo resero ben presto assai più interessante delle reciproche ostilità.
Tra il 2007 e il 2009 l'ipotesi della microcefalia venne esclusa da ripetuti studi comparati. Nel frattempo, il modello multiregionale tramontava sotto i colpi delle evidenze molecolari e paleontologiche. L'evoluzione umana appariva sempre più come un fitto mosaico di specie, spesso conviventi nello stesso periodo, con Homo sapiens arrivato buon ultimo dall'Africa. Nel 2009 si scoprì che i nove individui portati alla luce a Liang Bua sono simili solo in parte a «Homo erectus nani»: posseggono infatti alcuni caratteri così primitivi (soprattutto nella forma del cranio e nei grandi piedi) da far supporre che possa trattarsi di discendenti di una forma africana più remota e già di piccole dimensioni. È possibile che siano discendenti della prima uscita dall'Africa di forme arcaiche del genere Homo, cominciata poco dopo i due milioni di anni fa.
Alcuni utensili, ridatati con precisione nel 2010, fecero risalire il primo popolamento di Flores, nel vicino sito di Mata Menge, a circa 900 mila anni fa. Ci sarebbe stato quindi il tempo sufficiente perché una forma umana antica — forse lo stesso antenato degli Homo erectus che sopravvissero sull'isola di Giava fino a tempi relativamente recenti nella valle del fiume Solo — sviluppasse un adattamento tipico di specie che si trovano a vivere sulle isole: il «nanismo insulare». Con scarsità di risorse e in assenza di predatori, il processo selettivo favorisce la riduzione della corporatura perché in tal modo si diminuisce il fabbisogno energetico e si accelerano le generazioni. Viceversa, come nel caso dell'enorme roditore che veniva cacciato proprio dall'Homo floresiensis, se si è prede talvolta conviene ingigantirsi. Nella grotta di Liang Bua è stata scoperta nel 2011 anche una cicogna alta un metro e 82 cm.
Un'isola del lontano Oriente, piccoli hobbit dai lunghi piedi, topi mostruosi, cicogne giganti: sembra una storia alla Jonathan Swift e invece è tutto scritto nei fossili. Che sia arrivato già piccolo o si sia rimpicciolito in loco, Homo floresiensis si è oggi conquistato un posto d'onore come il più curioso rappresentante della diversità del genere Homo. Ma i dispetti non sono finiti qui. Nonostante la provenienza antica, le datazioni dicono che su Flores questa straordinaria specie pigmea abitò fino a tempi recentissimi: addirittura fino a circa 12 mila anni fa. È una scoperta sorprendente. In pratica questi hobbit insulari, in miniatura come gli stegodonti nani di cui si cibavano o come gli elefanti nani della Sicilia, sono sopravvissuti fino a una manciata di millenni prima dell'invenzione dell'agricoltura e della scrittura da parte di Homo sapiens.
Purtroppo, a causa dell'umidità e dell'acidità del suolo, non è stato finora possibile estrarre il Dna antico dalle loro ossa. Non si riesce a studiare la sequenza del loro genoma, come invece è possibile per il nostro cugino più stretto, l'uomo di Neanderthal. Non sappiamo perché gli hobbit di Flores si siano estinti (forse un'eruzione vulcanica?) e non vi sono testimonianze dirette di incontri con Homo sapiens. Tuttavia, considerando che i primi rappresentanti della nostra specie sono giunti in Australia ben prima di 12 mila anni fa e che la catena di isole della Sonda era un passaggio pressoché obbligato insieme a quello di Celebes e delle Molucche, è probabile che sull'isola di Flores vi siano stati incontri ravvicinati tra queste due specie, come anche tra Homo sapiens e Neanderthal in Medio Oriente e in Europa.
Questo caso mostra come i motori fondamentali dell'evoluzione abbiano agito sulle specie degli ominini come su tutte le altre forme viventi. Spostamento sul territorio e isolamento geografico hanno prodotto convivenze e diversificazioni di specie, fino a tempi molto recenti. La storia del piccolo hobbit indonesiano è ancora in gran parte da scrivere. Dobbiamo abituarci all'idea che non più tardi di 50-40 mila anni fa, tra Africa ed Eurasia, fossero in circolazione almeno quattro forme umane (noi, i Neanderthal, Homo floresiensis nella sua piccola enclave protetta dal mare, e un'altra specie asiatica trovata sui Monti Altai e non ancora battezzata), ciascuna intelligente a modo suo. Poi siamo rimasti gli unici, per ragioni forse legate alla nostra loquace invasività. È importante però sapere che nel passato recente ci sono stati molti altri modi di essere umani, altri ramoscelli nell'intricato albero della discendenza umana. Il messaggio di Liang Bua, al quale non volevamo quasi credere, è che non eravamo soli.

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