Uno scavo racconta le radici greche di Cuma
Uno scavo racconta le radici greche di Cuma
STELLA CERVASIO
GIOVEDÌ, 10 OTTOBRE 2013 LA REPUBBLICA - Napoli
Scoperte strade, focolari e case multifamiliari di tremila anni fa
CHI ha ricordi di visite ai resti dell’antica Cuma li coniuga a una distesa d’azzurro che circonda l’acropoli, in quel preciso punto trasformata in uno straordinario ombelico del mondo. Eppure oggi Cuma è un’emozione ancora più forte.
Un gruppo di archeologi dell’Orientale guidati da Matteo D’Acunto ha trovato le case dei coloni greci che sbarcarono in territorio cumano in una data più antica di quella finora accertata. Gli antenati dei napoletani abitavano qui. E proprio in questo punto, dove ha scavato l’università Orientale onorando una scuola di antichistica di primissimo livello, originata da nomi come Bruno D’Agostino, Emanuele Greco, Ida Baldassarri, Carlo Franciosi, Werner Johannowsky, per citarne solo alcuni, è morta e rinata più volte la “casa” dei progenitori partenopei: i loro focolari sono stati trovati intatti, gli uni costruiti sopra gli altri,
nel rispetto del passato, innovando senza distruggere. L’origine di Cuma anche per queste scoperte va più indietro nel tempo rispetto a ciò che gli studiosi hanno accertato finora, e cioè l’ultimo quarto dell’VIII secolo, quasi la stessa data a cui facciamo risalire Pithecusae, Ischia. Qui, nelle isole flegree, gli archeologi dell’Orientale e di Suor Orsola Benincasa nel 2001 trovarono resti di un “piano cottura” paragonabili alla “vetroceramica” che nelle cucine di oggi cuoce facendo a meno del fuoco vivo. Il fornello magico fu portato dai navigatori micenei che cercavano metalli a Vivara 3700 anni fa, nell’Età del Bronzo. Lo stesso materiale refrattario che oggi è ricercatissimo per cuocere il pane in casa, è stato ritrovato sotto forma di “camera di combustione” negli scavi di Cuma, usato 3000 anni fa. Una piccola fornace metallurgica unisce ancora questi territori alle isole dove dal mare brillavano i fuochi di tante fucine.
Gli scavi che hanno seguito nel tempo il Progetto Kyme, quel programma archeologico che dotò di fondi europei due università, Federico II e Orientale, la soprintendenza di Napoli e il Centro francese Jean Bérard, proseguono da qualche anno con gli scavi in concessione supervisionati dalla soprintendenza
di Napoli e Pompei e portati avanti da Matteo D’Acunto, allievo di Bruno D’Agostino, l’etruscologo docente dell’Orientale che ha studiato le mura settentrionali di Cuma. L’area riportata alla luce dovrebbe congiungere il percorso tra il foro e le mura settentrionali, interessandosi dell’area della “città bassa” che dal ‘94, epoca della soprintendenza di Stefano De Caro si è mirato a far tornare visibile per dare un’idea complessiva di Cuma città straordinaria in tutte le
sue accezioni.
Vita quotidiana alle origini di Napoli, dunque, visto che i coloni cumani vennero dai Campi Flegrei a fondarla. Scoperte e reperti,
tanti, in tre metri e mezzo di terra scavata. E’ lì la storia delle origini di un popolo che ha dato al mondo un’alfabeto e le radici di una lingua condivisa. Nello spaccato di focolari sovrapposti, una vera storia della casa e dell’alimentazione nelle diverse epoche. E anche la sorpresa di un tipo di abitazione trovato solo a Ostia: una “multifamiliare”. La Grecia e i modi greci, nell’urbanizzazione, nelle architetture, negli usi, resta ferma anche in epoca romana. Se Pompei è città romanizzata, Cuma resta greca nell’anima, ma anche nella forma: nel II secolo dopo Cristo la domus alla maniera pompeiana diventa “condominio”.
Il lavoro dell’antropologo che, affiancando l’archeologo, studia ossa e resti di specie diverse, ha svelato la dieta ereditata dai greci: carne di bovini e caprini, cacciagione, cervi (di cui, come a Pithecusae, l’antica Ischia, sono stati trovati palchi di corna), anche tartarughe, crudelmente cotte nel loro stesso guscio capovolto. Un abbondante uso di risorse marine e frutti di mare come le telline, e prodotti ortofrutticoli dalla vicina piana di Licola. L’aspetto più sorprendente per gli archeologi, però è stato il fatto che in epoca successiva ai coloni greci venisse rispettata la pianta della città: una pianta non di tipo ippodameo, come quella che ha condizionato di più nell’antichità il disegno urbano. «A Cuma — spiega D’Acunto, che ha ereditato dal padre, l’ambientalista dei Vas Verdi Ambiente Società Antonio D’Acunto, la passione per i luoghi — si potrà tra non molto visitare la città flegrea come avviene per Pompei, percorrendo le strade antiche e non camminando più sul piano di campagna. Si visiteranno le abitazioni di epoca romana con pannelli che illustrino anche com’erano quelle preesistenti di origine greca. C’è una grande plateia sulla direttrice est-ovest tagliata da un reticolo irregolare di stenopoi, strade secondarie in direzione nord-sud che ricalcano il tracciato greco: i termini di paragone per questo capolavoro sono Megara Iblea e Selinunte, le prime colonie siciliane ». Tra le meraviglie ritrovate nello scavo, il sigillo in corniola raffigurante Cerere, appartenuto a una donna autorevole, sacerdotessa del culto della dea del focolare, massima onorificenza per una donna cumana.
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