Sei foche monache: la prima opera d'arte dell'umanità
Corriere della Sera 9.2.12
Sei foche monache: la prima opera d'arte dell'umanità
Le pitture rupestri della grotta francese di Chauvet perderebbero il primato dell'arte più antica, surclassate di almeno 12 mila anni
di Andrea Nicastro
MADRID — Sono sei piccole foche monache dipinte in ocra su una stalattite, una in fila all'altra, come per una conta o una processione. Secondo il professor José Luis Sanchidrian dell'Università di Cordoba, potrebbero essere queste figure scoperte nella grotta di Nerja, vicino a Malaga, nel sud della Spagna, le prime opere d'arte dell'umanità. Ci sono resti di un falò e frammenti di ossa di foche a suggerirlo.
Fosse vero sarebbe una rivoluzione per la paleoantropologia. Non solo le pitture rupestri della grotta francese di Chauvet perderebbero il primato dell'arte più antica, surclassate di almeno 12 mila anni da Nerja, ma potremmo essere costretti a retrodatare l'arrivo in Europa dell'Homo sapiens oppure dovremmo rivedere il nostro giudizio dell'uomo di Neanderthal, il nostro «cugino» estinto. Fino a oggi i neanderthaliani erano considerati capaci di lavorare pietre e ossa, ma mai di un'astrazione complessa come quella necessaria per realizzare le sei piccole foche.
La grotta di Nerja è un'enorme cattedrale sotterranea (ri)scoperta nel 1970, punteggiata da stalattiti, stalagmiti e circa 600 pitture rupestri. Oggi il Mediterraneo è a una ventina di chilometri, ma nella preistoria doveva essere molto più vicino. I cacciatori dell'epoca trascinavano nella caverna le loro prede, capre, bufali, cavalli, foche, e qualcuno tra loro ne disegnava le forme sulle pareti. Uomini primitivi sì, ma con quelle facoltà d'astrazione (e senso artistico) che gli antropaleontologi hanno sempre considerato esclusiva di noi moderni Homo sapiens, comparsi in Europa 40 mila anni fa. Le pitture rupestri già conosciute e analizzate nella caverna confermavano questa ricostruzione. Le sei foche, invece, sono state trovate in una cavità strettissima, dove c'è spazio solo per l'antico pittore e il fuoco che gli servì per illuminare la sua «tela». I carboncini trovati nel terreno risalgono a 43-45 mila anni fa, ben prima dunque della comparsa dell'Homo sapiens. Un falò precedente? Possibile. Ma forse no.
Il 22 gennaio, «la Lettura» del «Corriere» aveva anticipato uno studio di due paleoantropologi dell'Università La Sapienza di Roma nel quale si ipotizzava una fusione genetica tra sapiens e neanderthaliani. Diventerebbero così più labili le differenze «culturali» sempre indicate tra i due gruppi di ominidi. Le foche spagnole potrebbero confermare proprio questo filone di ricerca. «Dobbiamo trovare altre prove — ammette il professor Sanchidrian —, ma i Neanderthal, forse, non erano poi così diversi da noi».
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