Penne di falco e avvoltoio per i cacciatori Neandertal
La Stampa TuttoScienze 13.4.11
Penne di falco e avvoltoio per i cacciatori Neandertal
La scoperta nel sito nascosto in una grotta delle Prealpi Venete “Ecco le prove che si decoravano corpo e vestiti, come i Sapiens”
Marco Peresani, Università di Ferrara
Vivo e ricco di colpi di scena si presenta il dibattito scientifico sull’uomo di Neandertal, tanto da impegnare fiumi di inchiostro nella bibliografia internazionale e centinaia di studiosi in accorati convegni a discutere della sua biologia, vita sociale, sussistenza e comportamento. Proprio quest’ultimo aspetto segna un picco d’attenzione, legato alle cause che hanno portato alla scomparsa dei nostri «cugini» tra 50 e 40 mila anni fa: come si rapportavano con l’ambiente e le innumerevoli risorse – alimentari e non - che questo offriva? Quant’era profondo il grado di conoscenza del territorio in cui si muovevano, degli animali che vi abitavano, dei giacimenti di rocce da scheggiare? Quali sistemi di identificazione adottavano per loro stessi, le proprie famiglie e i membri dei clan, sempre che una qualche struttura sociale ne contemplasse l’esistenza?
Gli interrogativi non lasciano dubbi: identificare tra i Neandertal comportamenti etnograficamente «moderni», cioè più prossimi al modo «sapiens» di pensare e strutturare la società, porta inevitabilmente ad interrogarsi sulla loro origine: autoctona oppure frutto del risultato di interazioni con i primi sapiens anatomicamente moderni che colonizzarono l’Europa 41-40 mila anni fa?
Se, da un lato, il confronto con il DNA fossile neandertaliano rivela le tracce di un flusso genico verso i sapiens euro-asiatici, dall’altro l’archeologia esclude contatti tra le due forme biologiche, sostenendo piuttosto l’emergenza autonoma di certe invenzioni nella scheggiatura della pietra, la lavorazione dell’osso e, di importanza fondamentale, l’impiego di materiali ad uso ornamentale. Conchiglie marine e canini di volpe ed orso perforati suggeriscono un’attenzione per la decorazione del corpo o per gli abiti, arricchita dall’impiego di polveri coloranti ricavate dalla triturazione di ossidi di ferro e manganese.
A rafforzare l’opinione di quanti pensano che i Neandertal avessero comportamenti astratti molto simili a quelli dei «cugini» sapiens anatomicamente moderno è una recente scoperta archeologica di unicità straordinaria, emersa in seguito a uno studio condotto su resti ossei di uccelli provenienti da uno strato risalente a 44 mila anni fa, nella Grotta di Fumane nel Parco Naturale Regionale della Lessinia, le Prealpi Venete. Le ricche testimonianze archeologiche conservate nei depositi di riempimento di questa cavità, oggetto di ricerche promosse dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto e condotte dall’Università di Ferrara in collaborazione con il Museo Nazionale Preistorico Etnografico «L. Pigorini», rappresentano una precisa documentazione della vita dei Neandertal e dei primi sapiens, tanto da registrarne fedelmente la sostituzione biologica e culturale lungo una sequenza stratigrafica scandita dettagliatamente dalle datazioni al radiocarbonio.
Grazie al perfetto stato di conservazione delle ossa sono state riconosciute tracce microscopiche di tagli effettuati con schegge di pietra su ossa dell’ala come l’omero distale, l’ulna e il carpometacarpo. La distribuzione dei tagli, a volte attorno ai bottoni di innesto delle penne remiganti, suggerisce il recupero forzato di questi vistosi elementi oppure di porzioni dell’ala. Le ossa in questione sono riferibili, infatti, a grandi rapaci come il gipeto, l’avvoltoio monaco e il falco cuculo e ad altri uccelli (gracchio alpino e colombaccio) e appartengono a porzioni di scarso interesse alimentare, ma dalle quali il recupero delle penne richiede strumenti da taglio con cui avere ragione della resistenza degli innesti. Va ricordato che i confronti archeologici ed etnografici attestano queste pratiche solo a partire da 15 mila anni fa e nei tempi successivi, fino al Medioevo.
L’utilizzo ornamentale delle penne a Fumane esclude eventuali ipotesi di un loro impiego nell’impennaggio di frecce o giavellotti lanciati con il propulsore, in quanto questi strumenti erano di esclusivo appannaggio dei sapiens. Piuttosto, rimanda alla vastissima documentazione etnografica riferibile all’arte piumaria delle popolazioni primitive attuali e sub-attuali, connessa alle decorazioni di abiti, oggetti, abitazioni ed individui, anche di rango, oppure all’araldica in uso per esempio tra i nativi del Nord America. Inoltre alle penne, di varia forma e colore, si aggiungevano gli artigli, solitamente dell’aquila, i cui resti peraltro non mancano a Fumane.
Oltre a retrodatare di decine di migliaia di anni questa pratica nella storia evolutiva umana, sinora considerata appannaggio di società più complesse, queste scoperte contribuiscono a modificare l’immagine di «bruti» che per oltre 100 anni ha ingiustamente accompagnato, nella letteratura scientifica e non, questo nostro stretto parente.
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