Quando le case e i fortini si costruivano con l´argilla
SICILIA - Quando le case e i fortini si costruivano con l´argilla
MARIA LUISA GERMANÀ
DOMENICA, 05 OTTOBRE 2008 LA REPUBBLICA - Palermo
Un convegno ha fatto il punto sulle antiche tecniche edilizie per studiarne il restauro
L´utilizzazione della terra cruda si è diffusa per secoli in tutta l´area mediterranea Oggi viene messa al bando dalle leggi urbanistiche
La terra, così come immediatamente disponibile e non soggetta a lavorazioni che ne prevedono la cottura, è un materiale che ha trovato largo impiego nelle costruzioni, sin da epoche remote e nelle più disparate latitudini. Nonostante la globale diffusione di materiali e tecniche costruttive profondamente diversi, ancora oggi una consistente quota della popolazione mondiale utilizza edifici realizzati in terra cruda. Nelle applicazioni più varie, tale materiale è stato ed è ancora impiegato per costruire sia opere murarie sia elementi di finitura: nei diversi usi, la terra - inumidita ed impastata con l´aggiunta di stabilizzanti ed aggreganti di origine vegetale o minerale - viene fatta indurire senza processi di cottura. Sono circa una ventina i procedimenti costruttivi a base di terra cruda; per quanto riguarda le opere murarie, ciascuno di essi può essere riferito a tre tipologie-base: quelle riconducibili al pisé (l´impasto viene costipato entro casseforme e, essiccando, forma un insieme monolitico); quelle riconducibili all´adobe (l´impasto, sagomato in elementi modulari come mattoni, viene fatto essiccare prima della posa in opera); quelli riconducibili al torchis (l´impasto riempie gli spazi all´interno di graticci in legno o canne ancorati alla struttura portante).
L´interesse per le costruzioni tradizionali realizzate in terra cruda si è sviluppato negli ultimi quarant´anni, a partire dalle testimonianze monumentali custodite in Medio Oriente. Non a caso la prima importante occasione di confronto ed approfondimento è stata una conferenza internazionale Icomos tenuta a Yazd, in Iran, nel novembre del 1972. Negli stessi anni, l´architetto Hassan Fathy pubblicava l´appassionato resoconto di una sua esperienza professionale, avviata subito dopo la seconda guerra mondiale in Egitto: la progettazione e la realizzazione di Gourna, un villaggio operaio per settemila persone nelle vicinanze di Luxor. In tale occasione, la ristrettezza delle risorse e, non secondariamente, la repulsione ad utilizzare materiali e strutture di importazione, gli avevano suggerito di utilizzare l´antica tecnica dei mattoni crudi. Da allora, l´architettura in terra cruda ha continuato ad essere studiata seguendo due filoni di indagine: da un lato viene approfondito lo studio di testimonianze architettoniche del passato, dall´altro si tende a verificare potenzialità e limiti dell´impiego attuale di tale materiale costruttivo, aggiungendo alle ancor valide motivazioni di Fathy (ridotti costi e affermazione dei valori locali del costruire) la sua sostenibilità, incontestabile specialmente a confronto con altri processi produttivi: basti pensare alla diffusa disponibilità del materiale ed al conseguente abbattimento dei trasporti. Vanno sottolineate, comunque, molteplici difficoltà per una realistica diffusione del crudo nell´attuale scenario: la totale assenza di normative nel nostro Paese ne esclude l´impiego nelle strutture murarie e la scomparsa del tradizionale contesto produttivo.
Su queste tematiche si è svolto nei giorni scorsi a Palermo un convegno, organizzato nell´ambito delle attività del dottorato di ricerca in Recupero e fruizione dei contesti antichi coordinato da Alberto Sposito, a cui ha preso parte Eugenio Galdieri, il più autorevole conoscitore di terra cruda in Italia. La Sicilia, a confronto con altre regioni italiane, non possiede un significativo patrimonio architettonico in crudo, se si esclude l´ambito archeologico. Per quanto riguarda gli impieghi più remoti della terra cruda, invece, la Sicilia offre un campo di osservazione privilegiato, innanzitutto perché custodisce numerosi reperti, risalenti ad epoche che vanno dalla preistoria all´età romana: dagli edifici residenziali ed artigianali con relativi annessi alle fortificazioni; dagli edifici religiosi alle sepolture.
La ricerca, sviluppata nel corso di un progetto di rilevanza nazionale finanziato dal Miur, ha sortito l´esito di promuovere l´interesse per queste testimonianze archeologiche, iniziando a censirle per ottenere una conoscenza strutturata, finalizzata soprattutto a evidenziare le numerose condizioni di pericolo che derivano dalla loro vulnerabilità. Il coinvolgimento di studiosi quotidianamente e concretamente impegnati sul campo della tutela e gestione dei siti archeologici siciliani (come Rosalba Panvini, Francesca Spatafora, Sebastiano Tusa) ha già fornito avanzamenti assai significativi; nel prossimo futuro ci si propone di proseguire il processo conoscitivo avviato.
MARIA LUISA GERMANÀ
DOMENICA, 05 OTTOBRE 2008 LA REPUBBLICA - Palermo
Un convegno ha fatto il punto sulle antiche tecniche edilizie per studiarne il restauro
L´utilizzazione della terra cruda si è diffusa per secoli in tutta l´area mediterranea Oggi viene messa al bando dalle leggi urbanistiche
La terra, così come immediatamente disponibile e non soggetta a lavorazioni che ne prevedono la cottura, è un materiale che ha trovato largo impiego nelle costruzioni, sin da epoche remote e nelle più disparate latitudini. Nonostante la globale diffusione di materiali e tecniche costruttive profondamente diversi, ancora oggi una consistente quota della popolazione mondiale utilizza edifici realizzati in terra cruda. Nelle applicazioni più varie, tale materiale è stato ed è ancora impiegato per costruire sia opere murarie sia elementi di finitura: nei diversi usi, la terra - inumidita ed impastata con l´aggiunta di stabilizzanti ed aggreganti di origine vegetale o minerale - viene fatta indurire senza processi di cottura. Sono circa una ventina i procedimenti costruttivi a base di terra cruda; per quanto riguarda le opere murarie, ciascuno di essi può essere riferito a tre tipologie-base: quelle riconducibili al pisé (l´impasto viene costipato entro casseforme e, essiccando, forma un insieme monolitico); quelle riconducibili all´adobe (l´impasto, sagomato in elementi modulari come mattoni, viene fatto essiccare prima della posa in opera); quelli riconducibili al torchis (l´impasto riempie gli spazi all´interno di graticci in legno o canne ancorati alla struttura portante).
L´interesse per le costruzioni tradizionali realizzate in terra cruda si è sviluppato negli ultimi quarant´anni, a partire dalle testimonianze monumentali custodite in Medio Oriente. Non a caso la prima importante occasione di confronto ed approfondimento è stata una conferenza internazionale Icomos tenuta a Yazd, in Iran, nel novembre del 1972. Negli stessi anni, l´architetto Hassan Fathy pubblicava l´appassionato resoconto di una sua esperienza professionale, avviata subito dopo la seconda guerra mondiale in Egitto: la progettazione e la realizzazione di Gourna, un villaggio operaio per settemila persone nelle vicinanze di Luxor. In tale occasione, la ristrettezza delle risorse e, non secondariamente, la repulsione ad utilizzare materiali e strutture di importazione, gli avevano suggerito di utilizzare l´antica tecnica dei mattoni crudi. Da allora, l´architettura in terra cruda ha continuato ad essere studiata seguendo due filoni di indagine: da un lato viene approfondito lo studio di testimonianze architettoniche del passato, dall´altro si tende a verificare potenzialità e limiti dell´impiego attuale di tale materiale costruttivo, aggiungendo alle ancor valide motivazioni di Fathy (ridotti costi e affermazione dei valori locali del costruire) la sua sostenibilità, incontestabile specialmente a confronto con altri processi produttivi: basti pensare alla diffusa disponibilità del materiale ed al conseguente abbattimento dei trasporti. Vanno sottolineate, comunque, molteplici difficoltà per una realistica diffusione del crudo nell´attuale scenario: la totale assenza di normative nel nostro Paese ne esclude l´impiego nelle strutture murarie e la scomparsa del tradizionale contesto produttivo.
Su queste tematiche si è svolto nei giorni scorsi a Palermo un convegno, organizzato nell´ambito delle attività del dottorato di ricerca in Recupero e fruizione dei contesti antichi coordinato da Alberto Sposito, a cui ha preso parte Eugenio Galdieri, il più autorevole conoscitore di terra cruda in Italia. La Sicilia, a confronto con altre regioni italiane, non possiede un significativo patrimonio architettonico in crudo, se si esclude l´ambito archeologico. Per quanto riguarda gli impieghi più remoti della terra cruda, invece, la Sicilia offre un campo di osservazione privilegiato, innanzitutto perché custodisce numerosi reperti, risalenti ad epoche che vanno dalla preistoria all´età romana: dagli edifici residenziali ed artigianali con relativi annessi alle fortificazioni; dagli edifici religiosi alle sepolture.
La ricerca, sviluppata nel corso di un progetto di rilevanza nazionale finanziato dal Miur, ha sortito l´esito di promuovere l´interesse per queste testimonianze archeologiche, iniziando a censirle per ottenere una conoscenza strutturata, finalizzata soprattutto a evidenziare le numerose condizioni di pericolo che derivano dalla loro vulnerabilità. Il coinvolgimento di studiosi quotidianamente e concretamente impegnati sul campo della tutela e gestione dei siti archeologici siciliani (come Rosalba Panvini, Francesca Spatafora, Sebastiano Tusa) ha già fornito avanzamenti assai significativi; nel prossimo futuro ci si propone di proseguire il processo conoscitivo avviato.
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