Le violenze perpetrate dai soldati dell’Armata Rossa taciute e rimosse per 60 anni
l’Unità 25.11.08
Nelle sale tedesche «Anonyma» tratto dal diario dell’epoca d’una giornalista
Le violenze perpetrate dai soldati dell’Armata Rossa taciute e rimosse per 60 anni
1945, i due milioni di stupri che misero fine alla guerra
di Gherardo Ugolini
Un gioco di veti incrociati ha coperto la tragedia di massa di cui, alla sconfitta, furono protagoniste in Prussia orientale le cittadine del Reich. Ora il film di Max Färberböck l’ha imposta all’attenzione di tutti.
BERLINO. Quante furono le donne tedesche violentate dai russi negli ultimi mesi di guerra? Secondo gli storici, se si considera l’intero territorio della Prussia orientale, la regione di confine dove l’Armata Russa sfondò già nel dicembre del 1944, le donne vittime di stupro furono circa 2 milioni, gran parte delle quali ammazzate direttamente dai soldati che le violentarono o morte per le conseguenze della violenza (spesso compiendo suicido). Un dramma collettivo dalle proporzioni mostruose, sul quale per decenni è caduto un muro di silenzio. Nella Ddr il tema è stato esorcizzato fino all’ultimo per ovvie ragioni di opportunità politica: non si poteva parlare dei soldati sovietici se non in termini apologetici di liberatori. Allusioni agli stupri di guerra erano ammesse ma solo sottolineando che si era trattato di pochi episodi isolati dovuti al cattivo comportamento di qualche soldato ubriaco che aveva disatteso le consegne delle autorità militari. Ed era d’obbligo ricordare che i tedeschi della Wehrmacht pochi mesi prima avevano violentato le russe in misura incomparabilmente superiore. Ma anche all’Ovest si è preferito per decenni far cadere il silenzio su quella tragedia, in parte per un senso di vergogna che coinvolge la biografia dell’intera nazione, in parte per un principio di «colpa collettiva» introiettato in misura più o meno consapevole da molti, e in parte anche per non danneggiare i rapporti politici con l’Urss e poi con la Russia.
Ora questa rimozione sembra essere finita. A riproporre la vicenda delle violenze dei russi sulle donne tedesche è arrivato un film uscito sugli schermi tedeschi a fine ottobre. Si intitola Anonyma. Eine Frau in Berlin e l’ha girato Max Färberböck basandosi sul diario di una giovane giornalista tedesca trovatasi a vivere a Berlino nelle settimane tra il 20 aprile e il 22 giugno del 1945. L’attrice Nina Hoss interpreta il ruolo della protagonista sullo sfondo degli ultimi giorni di guerra: l’assedio sovietico della capitale, la resistenza a oltranza ordinata dal Führer, l’arrivo dei carri armati dell’Armata Rossa fino alla capitolazione del Reich. La pellicola illustra la pena di sopravvivere in una città distrutta, la difficoltà di trovare cibo, la vita nascosta negli scantinati. Rievoca anche la grande paura che serpeggiava a Berlino nei confronti dei Russi, descritti dalla propaganda nazista come mostri crudeli e selvaggi. E racconta naturalmente anche degli stupri di massa compiuti dai soldati vincitori.
PERSONA O BOTTINO?
Finché la protagonista, che anche nel film non ha nome, per puro spirito di sopravvivenza decide di lasciarsi prendere come bottino di guerra da un ufficiale dell’esercito nemico (Evgeny Sidikhin) così da garantirsi la sussistenza materiale ed un minimo di protezione. Tra i due nasce un sentimento che potrebbe essere definito d’amore, se non ci fosse a dividerli la barriera dei diversi schieramenti: lui uno dei colpevoli, lei una delle vittime. Il film di Färberböck racconta tutto questo in modo sobrio e disincantato, senza rabbia, vittimismi e neppure moralismi. Questo film è un’ennesima testimonianza di quella tendenza che da un po’ di tempo si è fatta avanti nella storiografia tedesca e con essa anche nella percezione comune della gente. La parola d’ordine è: indagare a tutto campo su eventi considerati fino agli anni Novanta un tabù, in particolare sulle sofferenze patite dalla popolazione civile tedesca durante la seconda guerra mondiale. Un tempo parlare dei tedeschi come «vittime» piuttosto che come «carnefici» poteva costare l’accusa di nostalgia verso il passato nazista o di revisionismo destrorso. Adesso non più. Così abbiamo visto il dolore dei cittadini di Dresda, caduti sotto le bombe alleate nel febbraio 1945, così come il dramma dei profughi tedeschi costretti dopo la guerra a lasciare i paesi di residenza (Sudeti, Slesia, Pomerania). Sovente è stato il cinema il veicolo più efficace nel raccontare queste pagine dolorose della storia. E in questa serie rientra anche la questione degli stupri di massa compiuti dai soldati dell’Armata Rossa.
Nelle sale tedesche «Anonyma» tratto dal diario dell’epoca d’una giornalista
Le violenze perpetrate dai soldati dell’Armata Rossa taciute e rimosse per 60 anni
1945, i due milioni di stupri che misero fine alla guerra
di Gherardo Ugolini
Un gioco di veti incrociati ha coperto la tragedia di massa di cui, alla sconfitta, furono protagoniste in Prussia orientale le cittadine del Reich. Ora il film di Max Färberböck l’ha imposta all’attenzione di tutti.
BERLINO. Quante furono le donne tedesche violentate dai russi negli ultimi mesi di guerra? Secondo gli storici, se si considera l’intero territorio della Prussia orientale, la regione di confine dove l’Armata Russa sfondò già nel dicembre del 1944, le donne vittime di stupro furono circa 2 milioni, gran parte delle quali ammazzate direttamente dai soldati che le violentarono o morte per le conseguenze della violenza (spesso compiendo suicido). Un dramma collettivo dalle proporzioni mostruose, sul quale per decenni è caduto un muro di silenzio. Nella Ddr il tema è stato esorcizzato fino all’ultimo per ovvie ragioni di opportunità politica: non si poteva parlare dei soldati sovietici se non in termini apologetici di liberatori. Allusioni agli stupri di guerra erano ammesse ma solo sottolineando che si era trattato di pochi episodi isolati dovuti al cattivo comportamento di qualche soldato ubriaco che aveva disatteso le consegne delle autorità militari. Ed era d’obbligo ricordare che i tedeschi della Wehrmacht pochi mesi prima avevano violentato le russe in misura incomparabilmente superiore. Ma anche all’Ovest si è preferito per decenni far cadere il silenzio su quella tragedia, in parte per un senso di vergogna che coinvolge la biografia dell’intera nazione, in parte per un principio di «colpa collettiva» introiettato in misura più o meno consapevole da molti, e in parte anche per non danneggiare i rapporti politici con l’Urss e poi con la Russia.
Ora questa rimozione sembra essere finita. A riproporre la vicenda delle violenze dei russi sulle donne tedesche è arrivato un film uscito sugli schermi tedeschi a fine ottobre. Si intitola Anonyma. Eine Frau in Berlin e l’ha girato Max Färberböck basandosi sul diario di una giovane giornalista tedesca trovatasi a vivere a Berlino nelle settimane tra il 20 aprile e il 22 giugno del 1945. L’attrice Nina Hoss interpreta il ruolo della protagonista sullo sfondo degli ultimi giorni di guerra: l’assedio sovietico della capitale, la resistenza a oltranza ordinata dal Führer, l’arrivo dei carri armati dell’Armata Rossa fino alla capitolazione del Reich. La pellicola illustra la pena di sopravvivere in una città distrutta, la difficoltà di trovare cibo, la vita nascosta negli scantinati. Rievoca anche la grande paura che serpeggiava a Berlino nei confronti dei Russi, descritti dalla propaganda nazista come mostri crudeli e selvaggi. E racconta naturalmente anche degli stupri di massa compiuti dai soldati vincitori.
PERSONA O BOTTINO?
Finché la protagonista, che anche nel film non ha nome, per puro spirito di sopravvivenza decide di lasciarsi prendere come bottino di guerra da un ufficiale dell’esercito nemico (Evgeny Sidikhin) così da garantirsi la sussistenza materiale ed un minimo di protezione. Tra i due nasce un sentimento che potrebbe essere definito d’amore, se non ci fosse a dividerli la barriera dei diversi schieramenti: lui uno dei colpevoli, lei una delle vittime. Il film di Färberböck racconta tutto questo in modo sobrio e disincantato, senza rabbia, vittimismi e neppure moralismi. Questo film è un’ennesima testimonianza di quella tendenza che da un po’ di tempo si è fatta avanti nella storiografia tedesca e con essa anche nella percezione comune della gente. La parola d’ordine è: indagare a tutto campo su eventi considerati fino agli anni Novanta un tabù, in particolare sulle sofferenze patite dalla popolazione civile tedesca durante la seconda guerra mondiale. Un tempo parlare dei tedeschi come «vittime» piuttosto che come «carnefici» poteva costare l’accusa di nostalgia verso il passato nazista o di revisionismo destrorso. Adesso non più. Così abbiamo visto il dolore dei cittadini di Dresda, caduti sotto le bombe alleate nel febbraio 1945, così come il dramma dei profughi tedeschi costretti dopo la guerra a lasciare i paesi di residenza (Sudeti, Slesia, Pomerania). Sovente è stato il cinema il veicolo più efficace nel raccontare queste pagine dolorose della storia. E in questa serie rientra anche la questione degli stupri di massa compiuti dai soldati dell’Armata Rossa.
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