«Distrutti gli ipogei greci sotto il Museo Archeologico»

«Distrutti gli ipogei greci sotto il Museo Archeologico»
ANTONIO E. PIEDIMONTE
corriere del Mezzogiorno 13 apr 2010 Caserta

Gli ipogei greci in un libro reportage di Clemente Esposito. Che denuncia: distrutte le tombe sotto l’Archeologico

Un viaggio nella città più antica, quella greco romana, una passeggiata nei labirinti del sottosuolo, ma anche una dolorosa denuncia degli scempi che distruggono il patrimonio archeologico cittadino. È questo emolto altro il nuovo libro di Clemente Esposito Gli Ipogei greci della Sanità, Oxiana edizioni, (128 pagine, 18 euro), appena pubblicato e presentato nei giorni scorsi.

Per chi ama la «città parallela», il vulcanico ingegnere nato diverse primavere fa ad Airola, nel Beneventano, è una figura ben nota, una popolarità ed una autorevolezza che derivano dal fatto che sin dalla fine degli anni Cinquanta Esposito esplora le centinaia di grotte artificiali sopra le quali vive la maggior parte dei napoletani. Una storia che giustamente ha voluto sintetizzare nella premessa del volume ripercorrendo la straordinaria avventura cominciata con il professor Pietro Parenzan (cresciuto nel Carso triestino), il fondatore del Centro speleologico meridionale. Un’esperienza che negli anni Sessanta fu in qualche modo anche acquisita dal Comune: dopo l’apertura dell’ennesima voragine, il docente e il suo gruppo di giovani esploratori furono assoldati per rivelare le cavità ancora sconosciute. Il compenso? 100 lire a metro quadro.

Trenta e passa anni di incredibili scoperte, come la cava greca di Poggioreale, i cui graffiti— che affascinarono studiosi del calibro di Georges Vallet e Paul Arthur— sono ancora oggi un mistero degno di Dan Brown (il cui accesso è ovviamente negato). E tra le meraviglie nascoste nel tufo, l’«Indiana Jones del sottosuolo» troverà anche le splendide tombe di oltre duemila anni fa: gli ipogei greci. Una serie di sepolcri — quasi tutti tra via Foria, il Museo e il borgo dei Vergini — miracolosamente sopravvissuti alle alluvioni, ai depredatori, agli scempi edilizi e al degrado degli ultimi decenni. Autentiche rarità archeologiche, le tombe, che in qualche caso erano state visitate e raccontate anche dai grandi esploratori del passato, in primis Carlo Celano, che già nel Seicento (di fronte all’ipogeo di vico Tratta alla Sanità), era costretto a disperarsi: «… trovai che l’aveano quasi ruinata, in modo che mi caddero le lacrime, essendo certo che questa sepoltura era dei Greci». Esposito non è certo il tipo da commuoversi, ma di inalberarsi senza dubbio, come avvenne quando, qualche anno fa, in un ipogeo della Sanità, scoprì che un tubo rotto della fecale del palazzo sovrastante lo stava allagando di acque nere (e forse, dice, non è mai stato riparato). Ma rabbia e indignazione accompagnano spesso la scoperta delle vestigia dell’antichità nella città che sembra amarle di meno. L’immagine delle fondamenta di edifici ed altre colate di calcestruzzo gettate su sepolcri millenari non può che suscitare primordiali istinti di vendetta. E dove non c’è l’arroganza del business e la strafottenza di chi dovrebbe proteggere i tesori dell’antichità, c’è il prezzo da pagare al progresso: la linea della vecchia metropolitana (che in realtà era solo l’adattamento della linea ferroviaria Roma-Reggio Calabria), nel tratto della fermata Cavour, come racconta Esposito, «attraversò» almeno una decina ipogei greco-romani. Stessa storia con il palazzo Ottieri di via Foria (quello dove c’era l’Upim), sorto proprio su una area ricca di grandi tombe con bellissimi affreschi. E, dulcis in fundo, l’ingegnere descrive anche l’esperienza fatta recentemente al Museo archeologico nazionale: «Mi avevano chiamato — spiega — perché il calcestruzzo usato nei lavori di ampiamento del museo spariva nel sottosuolo e dunque c’era una cavità sconosciuta. Sono ritornato nel Museo — scrive nel libro — il 27 novembre del 2007, ed ho notato la scomparsa delle tombe a seguito di uno sbancamento ancora in atto che ne aveva messe in luce altre, questa volta anche inglobate nei pali del costone. Ho chiesto che fine avessero fatto i blocchi delle tombe, sperando che almeno si fossero salvati quelli con i graffiti, e mi è stato detto che erano stati portati a rifiuto insieme al resto dello sbancamento». Lo speleologo, nel volume allega anche un esplicativo corredo fotografico — l’apparato iconografico è una delle cose più importanti del volume— sul prima e dopo, e in attesa di scoprire quale è stato il destino delle tombe greche, ci ricorda che quelle tombe facevano parte di una grande cimitero che si estendeva dal Museo a Capodimonte, del quale aveva scritto nel 1888 Michele Ruggiero.

Ma di domande, sfogliando il libro, ne sorgono tante. Perché questo straordinario patrimonio, unico al mondo (gli ipogei greci con affreschi sono rarissimi), nascosto sotto i vicoli della Sanità (peraltro una zona particolarmente bisognosa di attenzioni sane) non è adeguatamente salvaguardato? Perché gli ipogei che si sono sino ad oggi miracolosamente salvati non si possono visitare? L’unica eccezione, infatti, si deve all’associazione Celanapoli, che in condizioni a dir poco avventurose è riuscita ad aprire, per un breve periodo, un piccolo tratto all’interno del cosiddetto «Ipogei dei togati». Ed ancora: perché non si avvia una sistematica campagna di scavo per scoprire cosa è rimasto degli altri sepolcri in quella che è conosciuta come la Valle delle tombe? Ed ancora, un ultimo quesito per gli inquilini di Palazzo San Giacomo: che fine ha fatto la riapertura definitiva del Cimitero delle Fontanelle (tanto per rimanere nella stessa zona), che da anni e anni viene puntualmente annunciata e regolarmente disattesa?

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