Nuovi reperti dell'antica Medma tornano alla luce durante uno scavo
Nuovi reperti dell'antica Medma tornano alla luce durante uno scavo
Giuseppe Lacquaniti
Gazzetta del Sud, 16/11/2012
Giuseppe Lacquaniti
Gazzetta del Sud, 16/11/2012
L'eccezionale scoperta in via Olindo Guerrini
Si tratta di una fornace e di un pozzo in mattoni databili tra V e IV secolo a.C.
ROSARNO. Un'altra importante scoperta archeologica nel centro urbano di Rosarno. Sono venuti alla luce i resti di una fornace e di un pozzo in mattoni ricurvi, databili fine V, inizio IV sec. a.C., in via Olindo Guerrini (una via perpendicolare al muro di recinzione dell'ospedale, lato est), nel corso dei lavori per la costruzione della rete fognaria. Si tratta di un rinvenimento che assume particolare valenza, poiché contribuisce ad arricchire le coordinate urbanistiche dell'antica Medma. Lo scavo ha attraversato, nelle vicinanze, i resti della casa dello stesso periodo, nel cui perimetro verosimilmente erano stati costruiti, ad uso familiare, la fornace e il pozzo. Rilievi e prospezioni sono stati affidati dalla Soprintendenza al giovane archeologo rosarnese Gianluca Sapio, profondo conoscitore della storia di Medma e autore, sin dal 2005, di numerose indagini archeologiche nel territorio rosarnese. Il rinvenimento dei resti di fornaci ad uso familiare rivela l'importanza che i Medmei davano alla lavorazione dell'argilla, un materiale reperibile con estrema facilità, senza costo alcuno, eppure utilissimo per fabbricare utensili domestici, oggetti riconducibili al culto dei morti, finanche giocattoli per bambini. Ma la specialità massima di cui i nostri antenati menavano vanto, e per la quale erano conosciuti in tutto il Mediterraneo, era la produzione di manufatti di altissimo livello artistico. Si tratta di quei capolavori che ancora oggi si possono ammirare nei musei di tutto il mondo, in gran parte venuti alla luce nei primi anni del Novecento, a seguito delle campagne di scavi condotte da Paolo Orsi. Infatti, negli anni compresi tra il 1912 e il 1914, l'archeologo trentino rinvenne due gigantesche fosse sacre, verosimilmente nelle adiacenze di santuari dedicati a Persefone, Afrodite, Demetra e Atena, le massime divinità del pantheon medmeo, in cui erano stati seppelliti migliaia di ex voto, la massima parte terrecotte, dono dei fedeli alle loro divinità. Dunque, per gli abitanti di Medma, la lavorazione dell'argilla costituiva l'attività artigianale preminente. La fornace (con annesso pozzo di servizio) serviva per la cottura degli oggetti modellati dalle mani di maestri esperti nella lavorazione della creta. Era formata da un corridoio più stretto (detto "prefurnio") per l'immissione della legna o del carbone nella camera di combustione, su cui era collocato il piano forato, grazie al quale il calore passava nella camera di cottura, dove erano sistemati gli oggetti in argilla per essere convertiti in "terrecotte". Mentre esultano per questa ulteriore scoperta tutti quei rosarnesi che hanno a cuore le memorie patrie, c'è da osservare che sono 10 anni che la città attende invano la riapertura del Museo, che era stato chiuso "provvisoriamente" per consentire la ristrutturazione dell'auditorium di via Umberto I, nei cui locali si trovava ubicato. I lavori furono completati nel 2004, ma i reperti, provvisoriamente trasferiti presso la Soprintendenza reggina, non tornarono al loro posto. Neanche nella nuova sede museale allestita nel 2005 all'interno del Parco archeologico nell'ex palazzina dove alloggiava il custode della Scuola agraria. Bastava il semplice trasferimento delle vetrine, già in dotazione, in questi locali rimessi completamente a nuovo. Ma non se ne fece nulla perché, si disse dalla Soprintendenza, che si rendeva necessario un allestimento con nuove vetrine. Da sette anni se ne attende l'arrivo. Intanto c'è chi si chiede: «Ma perché, nell'attesa delle nuove, non sono state utilizzate quelle già in uso nel Museo dell'auditorium? Ed è lecito sapere che fine hanno fatto?».
ROSARNO. Un'altra importante scoperta archeologica nel centro urbano di Rosarno. Sono venuti alla luce i resti di una fornace e di un pozzo in mattoni ricurvi, databili fine V, inizio IV sec. a.C., in via Olindo Guerrini (una via perpendicolare al muro di recinzione dell'ospedale, lato est), nel corso dei lavori per la costruzione della rete fognaria. Si tratta di un rinvenimento che assume particolare valenza, poiché contribuisce ad arricchire le coordinate urbanistiche dell'antica Medma. Lo scavo ha attraversato, nelle vicinanze, i resti della casa dello stesso periodo, nel cui perimetro verosimilmente erano stati costruiti, ad uso familiare, la fornace e il pozzo. Rilievi e prospezioni sono stati affidati dalla Soprintendenza al giovane archeologo rosarnese Gianluca Sapio, profondo conoscitore della storia di Medma e autore, sin dal 2005, di numerose indagini archeologiche nel territorio rosarnese. Il rinvenimento dei resti di fornaci ad uso familiare rivela l'importanza che i Medmei davano alla lavorazione dell'argilla, un materiale reperibile con estrema facilità, senza costo alcuno, eppure utilissimo per fabbricare utensili domestici, oggetti riconducibili al culto dei morti, finanche giocattoli per bambini. Ma la specialità massima di cui i nostri antenati menavano vanto, e per la quale erano conosciuti in tutto il Mediterraneo, era la produzione di manufatti di altissimo livello artistico. Si tratta di quei capolavori che ancora oggi si possono ammirare nei musei di tutto il mondo, in gran parte venuti alla luce nei primi anni del Novecento, a seguito delle campagne di scavi condotte da Paolo Orsi. Infatti, negli anni compresi tra il 1912 e il 1914, l'archeologo trentino rinvenne due gigantesche fosse sacre, verosimilmente nelle adiacenze di santuari dedicati a Persefone, Afrodite, Demetra e Atena, le massime divinità del pantheon medmeo, in cui erano stati seppelliti migliaia di ex voto, la massima parte terrecotte, dono dei fedeli alle loro divinità. Dunque, per gli abitanti di Medma, la lavorazione dell'argilla costituiva l'attività artigianale preminente. La fornace (con annesso pozzo di servizio) serviva per la cottura degli oggetti modellati dalle mani di maestri esperti nella lavorazione della creta. Era formata da un corridoio più stretto (detto "prefurnio") per l'immissione della legna o del carbone nella camera di combustione, su cui era collocato il piano forato, grazie al quale il calore passava nella camera di cottura, dove erano sistemati gli oggetti in argilla per essere convertiti in "terrecotte". Mentre esultano per questa ulteriore scoperta tutti quei rosarnesi che hanno a cuore le memorie patrie, c'è da osservare che sono 10 anni che la città attende invano la riapertura del Museo, che era stato chiuso "provvisoriamente" per consentire la ristrutturazione dell'auditorium di via Umberto I, nei cui locali si trovava ubicato. I lavori furono completati nel 2004, ma i reperti, provvisoriamente trasferiti presso la Soprintendenza reggina, non tornarono al loro posto. Neanche nella nuova sede museale allestita nel 2005 all'interno del Parco archeologico nell'ex palazzina dove alloggiava il custode della Scuola agraria. Bastava il semplice trasferimento delle vetrine, già in dotazione, in questi locali rimessi completamente a nuovo. Ma non se ne fece nulla perché, si disse dalla Soprintendenza, che si rendeva necessario un allestimento con nuove vetrine. Da sette anni se ne attende l'arrivo. Intanto c'è chi si chiede: «Ma perché, nell'attesa delle nuove, non sono state utilizzate quelle già in uso nel Museo dell'auditorium? Ed è lecito sapere che fine hanno fatto?».
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