Taranto va alla ricerca della «Dea» perduta

Taranto va alla ricerca della «Dea» perduta
di GIACOMO ANNIBALDIS
04 gennaio 2009, CORRIERE DEL MEZZOGIORNO

IL paradosso non può essere più eclatante: mentre diminuiscono i fondi necessari a tutelare il nostro patrimonio archeologico, a potenziare sovrintendenza e musei, a salvare dai tombaroli reperti e capolavori, ecco che aumenta nella popolazione la consapevolezza del proprio passato, cui sì accredita anche la speranza che possa convertirsi in risorsa economica per il territorio.
Da qui nascono rivendicazioni e lotte legali per recuperare il patrimonio perduto (con vittorie come quella che ha visto tornare in Italia ì capolavori della mostra «Nòstoi» a Roma: con i grifoni trafugati ad Ascoli Satriano); o per riaccogliere - anche solo temporaneamente - i capolavori dispersi. A ciò che sta avvenendo in questi ultimi tempi a Taranto, una città che tenta di risollevarsi puntellandosi soprattutto sulla cultura e sul riaperto Museo archeologico. Gruppi di cittadini premono affinché la «Dea in trono», la bella scultura posseduta dagli Staatliche Museen di Berlino, possa tornare nella città magnogreca dove riemerse nei primi anni del XX secolo. Difatti sembra impossibile rivendicarne la restituzione, dal momento che la statua fu venduta da un «legittimo proprietario» al Kaiser tedesco.
Quel che si può ottenere - e sarebbe comunque un bel regalo per i tarantini e la Puglia - è un prestito, per il tempo adeguato per far ammirare la «dea» di Taranto ai suoi attuali abitanti. D`altronde qui, nel suo territorio, le sarebbe riservata una adeguata visibilità, più dì quanta ne abbia a Berlino, dove la sua singolare bellezza sminuisce accanto alla maestosa fabbrica marmorea del Pergamon.
Scolpita in prezioso marmo pario e alta un mero e mezzo, la statua ripropone uno stile «severo» quasi arcaizzante, come è consueto per immagini cultuali: la sua datazione difatti è posta alla metà del V secolo a. C. Doveva essere dipinta e ornata - come mostrano fori sui lobi delle orecchie e sul capo - da orecchini e da un diadema d`oro. La fragilità di alcune parti suggeriscono che essa fu scolpita a Taranto, magari da uno scultore greco (proveniente da Egina?). La dea è purtroppo monca delle braccia. In realtà su dì essa aleggia più di un mistero. Non tutti gli studiosi sarebbero concordi che essa fosse riemersa a Taranto (benché questa sia la localizzazione indicata anche dal museo berlinese): alcuni infatti ne congetturano una origine locrese. E alquanto torbida appare anche la vicenda della sua vendita nel 1915 alla Germania, tra mercati antiquari clandestini, sequestri da parte della polizia francese, rivendicazione di legittimi proprietari... D`altronde le leggi di allora sui beni culturali non erano così severe come lo divennero in seguito, negli anni Trenta. E misteriosa è anche l`identificazione della immagine, che a prima vista rievoca la comune icona della «Dea Madre», grazie alla matronica presenza e a quel seno sinistro che sbuca nudo dall`«himation» (mantello). Per la Zancani Montuoro - l`archeologa che per prima ne propose una derivazione tarantina - essa raffigura la dea Persefone, la dea degli inferi che a Taranto aveva un suo santuario e godeva di un culto. Ma non è da escludere che possa essere una più composta Afrodite (come scrive Madeleine Mertens-Horn, soprattutto per l`indizio della cuffia, in genere indossata da fanciulle in attesa di matrimonio). Non si dovrebbe escludere l`identità di Demetra, la madre di Persefone, spesso raffigurata in trono. Quali oggetti presentava nelle mani? Una melagrana (attributo di Demetra e di Persefone), una colomba (attributo di Afrodite)? Ovvero un bambino? Senza dubbio l`integrità avrebbe aiutato l`inter- pretazione. Il ritorno potrebbe favorire nuovi studi.

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