Le credenze e il metodo storico: perché si può essere relativisti

Corriere della Sera 11.6.08
In discussione Una confutazione di Emmanuel Le Roy Ladurie: ciò che oggi risulta falso ha avuto un senso profondo nei secoli passati
La verità al tempo delle streghe
Le credenze e il metodo storico: perché si può essere relativisti
di Quentin Skinner

Emmanuel Le Roy Ladurie nel saggio I contadini di Linguadoca (Laterza), riguardo all'insorgenza delle credenze sulla stregoneria nel periodo della Riforma, inizia sottolineando che quelle convinzioni dei contadini erano chiaramente false, ed erano poco più del prodotto di ciò che lui chiama un «delirio di massa». Per spiegare perché queste convinzioni siano state ampiamente condivise, dice Ladurie, ci serve un resoconto di ciò che può avere compromesso il processo di ragionamento e può aver fatto sì che, come lui dice, la coscienza dei contadini rompesse gli ormeggi. Afferma Ladurie che il problema sta in cosa causò l'insorgere di un simile oscurantismo e di una epidemia di convinzioni patologiche.
Il mio punto di vista è che seguire questo approccio è semplicemente fatale per la buona pratica storica, perché significa presumere che ogni volta che uno storico si trova di fronte a una convinzione che considera falsa, la spiegazione sarà sempre quella di una mancanza di razionalità. Ma questo significa identificare l'avere convinzioni razionali con l'avere convinzioni che lo storico considera vere. Si esclude pertanto la possibilità che, anche nel caso di convinzioni che oggi consideriamo chiaramente false, possano essere esistiti nel passato buoni motivi per considerarle vere.
Mi pare, in altre parole, che lo storico della cultura debba operare mantenendo ben separate la verità e la razionalità. La ragione sta nel fatto che, quando cerchiamo di spiegare convinzioni che consideriamo irrazionali, è allora — e non quando le giudichiamo false — che sorgono ulteriori problemi su come dare la migliore spiegazione. Mettere sullo stesso piano l'avere false convinzioni e la mancanza di razionalità è pertanto una preclusione di un tipo di spiegazione a spese di altre. Le cause per cui qualcuno segue quelle che sono considerate giuste norme di ragionamento saranno di ordine diverso dalle cause per cui tali norme sono violate. Ne consegue che non possiamo essere certi di identificare correttamente ciò che deve essere spiegato né, di conseguenza, impostare le nostre ricerche nella giusta direzione. Se si dimostra che esistevano basi razionali perché l'agente avesse tale convinzione, dovremo esaminare le condizioni di tale risultato. Se risultasse che avere tale convinzione non era molto razionale o era addirittura assurdo, dovremo esaminare il tipo di condizioni che possono avere impedito all'agente di seguire i canoni riconosciuti dell'evidenza e del ragionamento, o che forse hanno dato all'agente un motivo per sfidarli.
Per illustrare l'importanza di questi punti, riprendo il resoconto di Ladurie riguardo alle credenze sulla stregonerie ampiamente diffuse tra i contadini di Linguadoca. Egli non solo inizia facendo notare che queste convinzioni erano false, ma la sua spiegazione presuppone che sarebbe stato irrazionale non considerarle false. Ladurie presume che la falsità di queste credenze sia di per sé sufficiente per mostrare che non erano sostenute razionalmente. Operando su questo presupposto, si preclude ogni spazio per considerare un tipo di spiegazione storica diversa. Non può accettare il fatto che i contadini possano avere creduto all'esistenza delle streghe come conseguenza del loro avere tutta una serie di convinzioni a partire dalle quali si sarebbe potuti arrivare razionalmente a tale particolare conclusione. Per considerare soltanto la più semplice delle possibilità, supponiamo che i contadini avessero anche la convinzione — ampiamente accettata come razionale e quindi certa nell'Europa del XVI secolo — che la Bibbia sia la diretta parola di Dio. Se questa era una delle loro convinzioni, e se per loro era razionale abbracciarla, allora non credere nell'esistenza delle streghe sarebbe stato per loro il massimo dell'irrazionalità. Non solo, infatti, la Bibbia afferma che le streghe esistono, ma aggiunge che la stregoneria è un abominio e che non si può permettere alle streghe di vivere. Dichiarare di non credere all'esistenza delle streghe sarebbe equivalso a dichiarare di dubitare della credibilità della parola di Dio. Che cosa avrebbe potuto essere più irrazionale di questo? Ladurie esclude a priori la possibilità che coloro che credevano nelle streghe lo facessero come risultato dell'avere seguito una tale catena di ragionamento. Ma questo non significa solamente che lui avanza una spiegazione delle credenze magiche che, per quel che ne sa, può essere completamente irrilevante. Significa anche che ignora tutta una serie di interrogativi sul mondo mentale dei contadini a cui può essere indispensabile rispondere se si vogliono bene comprendere le loro convinzioni e il loro comportamento.
Lo storico può arrivare alla conclusione che, nonostante le credenze sulle streghe del secolo XVI fossero false, fosse assolutamente razionale considerarle vere a quel tempo. Un'altra possibile conclusione può essere quella per cui fosse razionale avere convinzioni con grado di probabilità anche piuttosto basso. Infine credo che lo storico non possa escludere di arrivare alla conclusione che le convinzioni in questione non solo erano false, ma che nemmeno a quel tempo esistevano ragioni sufficienti per considerarle vere.
L'essenza della mia argomentazione è quindi che quando uno storico della cultura vuole spiegare i sistemi di pensiero imperanti nelle società del passato, deve addirittura evitare di porsi domande sulla verità o falsità delle convinzioni che sta studiando. Ci si deve appellare al concetto di verità soltanto per domandarsi se i nostri antenati avessero ragioni sufficienti per considerare vero ciò che loro credevano che fosse vero.
So bene che chiunque si esprima in questo modo è destinato, prima o poi, ad essere biasimato (o encomiato) come relativista, quindi devo terminare spendendo qualche parola per spiegare se ho o meno adottato una posizione relativista. Per un verso, la mia argomentazione è ovviamente relativista. Ho relativizzato l'idea di «considerare vera» una certa convinzione. Come ho indicato, per i contadini di Linguadoca il credere all'esistenza di streghe alleate con il demonio poteva avere una base razionale, pur se ora tale convinzione non ci appare più razionalmente accettabile. Tutti gli storici della cultura devono essere relativisti in questo senso. Devono avere sempre presente che è possibile abbracciare una convinzione falsa in modo razionale.
È però un errore supporre che gli storici che adottano questa posizione stiano abbracciando una tesi di relativismo concettuale. Il relativismo concettuale afferma che la verità è semplicemente l'accettabilità razionale in una forma di vita. Ma non è questo ciò che ho sostenuto. Non ho asserito che fosse vero che in certo periodo siano esistite streghe alleate con il demonio. Ho semplicemente affermato che ci può essere stato un tempo in cui era razionale affermare che era vero che esistevano streghe alleate con il demonio, pur se ora tale convinzione ci appare falsa. Più in generale, mi sono limitato ad osservare che il problema di che cosa possiamo razionalmente considerare vero varia in base alla totalità delle nostre convinzioni. Non ho mai avanzato l'originale tesi che la stessa verità può variare allo stesso modo.
In altre parole, non sto dicendo che quando Tommaso d'Aquino affermava che il sole gira attorno alla terra, o quando Locke affermava che le pietre crescono, queste affermazioni erano vere per loro (come dicono i relativisti) pur se non sono vere per noi. Voglio dire che queste affermazioni non sono mai state vere. L'unico punto che ho sostenuto è che, per spiegare il loro mondo, dobbiamo accettare il fatto che loro possano avere avuto buoni motivi per ritenere vere molte convinzioni che a noi appaiono palesemente false. Ad esempio, che le pietre possano crescere.

Lo storico Quentin Skinner dell'Università di Cambridge, nato nel 1940, è uno dei massimi studiosi del pensiero politico moderno, in particolare di Hobbes e Machiavelli. Il testo pubblicato in questa pagina è una rielaborazione sintetica del discorso su «Verità e spiegazione della storia» da lui tenuto a un seminario organizzato dalla Fondazione Balzan.

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