Negli anni ruggenti della Contriforma, quando la battaglia contro le eresie fu vinta, gli amori proibiti, fino a quel momento leciti,
Il Sole 24 Ore Domenica 15.6.08
Addio mia concubina
Negli anni ruggenti della Contriforma, quando la battaglia contro le eresie fu vinta, gli amori proibiti, fino a quel momento leciti, entrarono nel mirino della Chiesa
di Massimo Firpo
È sotto gli occhi di tutti il fatto che il matrimonio, inteso come vincolo giuridico (e sacramentale per i cattolici) di una coppia eterosessuale non può esaurire il magmatico e mutevole universo dei rapporti affettivi, delle pratiche sessuali, delle forme di convivenza di adulti consenzienti, e che pertanto lo stesso concetto tradizionale di famiglia sta conoscendo mutamenti profondi. Le iniziative di legge sulla regolamentazione delle coppie di fatto hanno occupato in tempi recenti le prime pagine dei giornali, e in merito la Chiesa di Roma non ha mancato di far sentire la sua prevedibile voce per contrastare il riconoscimento di pur minimi diritti ai protagonisti di forme alternative di convivenza che, evidentemente, non sono soltanto il deplorevole esito dei processi di secolarizzazione, del relativismo culturale, del dilagante edonismo che il magistero papale non si stanca di denunciare, ma riflettono mutamenti sociali profondi e inarrestabili, che riguardano la condizione della donna, il lavoro, l'educazione dei figli eccetera. Il problema esiste, insomma, e deve (o dovrebbe) essere affrontato in termini di civile tolleranza, senza presunti monopoli ideologici.
Tanto più che esso è sempre esistito, per l'impossibilità di coartare entro rigidi scherni normativi l'irriducibile pulsione di sentimenti, affetti, passioni, desideri che si annida nel cuore di uomini e donne. Non è quindi sugli «amori proibiti» in quanto tali che il nuovo libro di Giovanni Romeo si sofferma, ma sul delinearsi e affermarsi della loro repressione da parte dell'istituzione ecclesiastica tra Cinque e Seicento, negli anni ruggenti della Controriforma, quando la battaglia contro il dilagare delle eresie anche al di qua delle Alpi era stata ormai vinta e la Chiesa poté dedicarsi a un sempre più capillare controllo dei pensieri, delle pratiche sociali, dei comportamenti deifedeli, utilizzando sia gli strumenti pastorali della pedagogia e della persuasione sia, e sempre più intensamente, quelli repressivi della punizione e della condanna. Solo nel 1514, del resto, il Concilio lateranense V aveva proibito il concubinato dei laici, e solo con molta fatica riuscirono infine a imporsi i canoni tridentini che vietavano la diffusissima prassi delle convivenze prematrimoniali tra fidanzati. Certo, si trattava di una questione delicata, non solo perché comportava di spiare nelle case e nei letti della gente, ma anche perché all'indomani della conclusione del Concilio di Trento concubinato e famiglie di fatto allignavano largamente anche nel clero, di cui occorreva salvaguardare il prestigio, mentre il rispetto del voto di castità via via impostosi non avrebbe fatto altro che alimentare nelle sue fila una ipersensibilità per le questioni sessuali (peraltro destinata a lunga e tenace fortuna), da cui sarebbero scaturiti nuovi e gravi problemi, quali - per esempio - la solicitatio ad turpis durante la confessione o forme di esasperato misticismo in cui la presunzione di impeccabilità avrebbe consentito e alimentato disordini gravissimi nei conventi femminili.
Il bel libro di Giovanni Romeo si focalizza su Napoli, allora la più grande città europea, brulicante di vita, di uomini, di miseria, di espedienti, di creatività popolare, e segue con grande [mezza, sulla base di una documentazione ricchissima e in molti casi di straordinaria suggestione, il progressivo imporsi della Chiesa su reati che in passato erano di esclusiva competenza dello Stato o di foro misto (non solo il concubinato, ma anche la bigamia, l'adulterio, la sodomia), usando se necessario il grimaldello inquisitoriale in virtù del sospetto che comportamenti ralmente eteronomi nascondessero idee logicamente eterodosse. Debolissime furono nella capitale del Regno le resistenze giurisdizionali dell'autorità politica, incapace di porre un freno all'affermarsi della Chiesa quale unica tutrice della morale pubblica. Di qui l'avvio di una nuova politica di occhiuta sorveglianza e severa repressione (scomuniche, multe, punizioni infamanti, carcere, sepoltura in terra sconsacrata) contro ogni forma di convivenza e relazione non sancita dal vincolo matrimoniale, che poté avvalersi di nuovi ed efficacissimi strumenti per il controllo delle coscienze quali la confessione frequente, propagandata soprattutto dai gesuiti, e la verifica della comunione pasquale.
Contro questa dirompente offensiva rigorista dell'autorità ecclesiastica, contro le sue pretese di «entrare con forza nella vita quotidiana» e di «combattere senza tregua tutte le idee e le pratiche ritenute lesive dell'ortodossia, anche quelle più insignificanti, da sempre trascurate o rimesse allo zelo pastorale di vescovi, curati e confessori» (p. VII): non mancarono tuttavia moltepli resistenze, variamente modulate nel popolo, nella borghesia, nel ceto aristocratico fatte di espedienti, artifici, ipocrisie, talora anche grazie alla saggezza pastorale di parroci pronti a chiudere un occhio, ma anche della scelta di "tenersi" la scomunica e talora addirittura di plateali proteste e rabbiose ribellioni, spesso all'origine di ulteriori più gravi guai per i malcapitati, quasi sempre donne, ferite nell'onorabilità, talora costrette a separarsi dai figli, spesso rimaste prive di ogni forma di sostentamento. Da questo tenace «impegno moralizzatore» (p. 165) di vescovi e vicari per imporre alla società un severo «governo della sessualità» (p. 73), certo responsabile di molte sofferenze e approdato infine a scarsi risultati emerge un quadro tutt'altro che edificante del cosiddetto «disciplinamento» tridentino. L'intransigenza con cui la Chiesa cercè di regolare la vita sessuale e familiare dei fedeli contrasta vistosamente, per esempio, con la sostanziale tolleranza nei confronti del flagello dell'usura, evidentemente ritenuto di rilevanza morale assai inferiore al concubinato. Nel suo riflettere una scala di priorità, anch'essa destinata a lunga durata, è questo un dato su cui riflettere, anche perché - come sempre - solo nelle sue radici storiche il presente può rivelarsi intelligibile.
Giovanni Romeo, «Amori proibiti. I concubini tra Chiesa e Inquisizione», Laterza, Roma-Bari, pagg. 256, € 18,00.
Addio mia concubina
Negli anni ruggenti della Contriforma, quando la battaglia contro le eresie fu vinta, gli amori proibiti, fino a quel momento leciti, entrarono nel mirino della Chiesa
di Massimo Firpo
È sotto gli occhi di tutti il fatto che il matrimonio, inteso come vincolo giuridico (e sacramentale per i cattolici) di una coppia eterosessuale non può esaurire il magmatico e mutevole universo dei rapporti affettivi, delle pratiche sessuali, delle forme di convivenza di adulti consenzienti, e che pertanto lo stesso concetto tradizionale di famiglia sta conoscendo mutamenti profondi. Le iniziative di legge sulla regolamentazione delle coppie di fatto hanno occupato in tempi recenti le prime pagine dei giornali, e in merito la Chiesa di Roma non ha mancato di far sentire la sua prevedibile voce per contrastare il riconoscimento di pur minimi diritti ai protagonisti di forme alternative di convivenza che, evidentemente, non sono soltanto il deplorevole esito dei processi di secolarizzazione, del relativismo culturale, del dilagante edonismo che il magistero papale non si stanca di denunciare, ma riflettono mutamenti sociali profondi e inarrestabili, che riguardano la condizione della donna, il lavoro, l'educazione dei figli eccetera. Il problema esiste, insomma, e deve (o dovrebbe) essere affrontato in termini di civile tolleranza, senza presunti monopoli ideologici.
Tanto più che esso è sempre esistito, per l'impossibilità di coartare entro rigidi scherni normativi l'irriducibile pulsione di sentimenti, affetti, passioni, desideri che si annida nel cuore di uomini e donne. Non è quindi sugli «amori proibiti» in quanto tali che il nuovo libro di Giovanni Romeo si sofferma, ma sul delinearsi e affermarsi della loro repressione da parte dell'istituzione ecclesiastica tra Cinque e Seicento, negli anni ruggenti della Controriforma, quando la battaglia contro il dilagare delle eresie anche al di qua delle Alpi era stata ormai vinta e la Chiesa poté dedicarsi a un sempre più capillare controllo dei pensieri, delle pratiche sociali, dei comportamenti deifedeli, utilizzando sia gli strumenti pastorali della pedagogia e della persuasione sia, e sempre più intensamente, quelli repressivi della punizione e della condanna. Solo nel 1514, del resto, il Concilio lateranense V aveva proibito il concubinato dei laici, e solo con molta fatica riuscirono infine a imporsi i canoni tridentini che vietavano la diffusissima prassi delle convivenze prematrimoniali tra fidanzati. Certo, si trattava di una questione delicata, non solo perché comportava di spiare nelle case e nei letti della gente, ma anche perché all'indomani della conclusione del Concilio di Trento concubinato e famiglie di fatto allignavano largamente anche nel clero, di cui occorreva salvaguardare il prestigio, mentre il rispetto del voto di castità via via impostosi non avrebbe fatto altro che alimentare nelle sue fila una ipersensibilità per le questioni sessuali (peraltro destinata a lunga e tenace fortuna), da cui sarebbero scaturiti nuovi e gravi problemi, quali - per esempio - la solicitatio ad turpis durante la confessione o forme di esasperato misticismo in cui la presunzione di impeccabilità avrebbe consentito e alimentato disordini gravissimi nei conventi femminili.
Il bel libro di Giovanni Romeo si focalizza su Napoli, allora la più grande città europea, brulicante di vita, di uomini, di miseria, di espedienti, di creatività popolare, e segue con grande [mezza, sulla base di una documentazione ricchissima e in molti casi di straordinaria suggestione, il progressivo imporsi della Chiesa su reati che in passato erano di esclusiva competenza dello Stato o di foro misto (non solo il concubinato, ma anche la bigamia, l'adulterio, la sodomia), usando se necessario il grimaldello inquisitoriale in virtù del sospetto che comportamenti ralmente eteronomi nascondessero idee logicamente eterodosse. Debolissime furono nella capitale del Regno le resistenze giurisdizionali dell'autorità politica, incapace di porre un freno all'affermarsi della Chiesa quale unica tutrice della morale pubblica. Di qui l'avvio di una nuova politica di occhiuta sorveglianza e severa repressione (scomuniche, multe, punizioni infamanti, carcere, sepoltura in terra sconsacrata) contro ogni forma di convivenza e relazione non sancita dal vincolo matrimoniale, che poté avvalersi di nuovi ed efficacissimi strumenti per il controllo delle coscienze quali la confessione frequente, propagandata soprattutto dai gesuiti, e la verifica della comunione pasquale.
Contro questa dirompente offensiva rigorista dell'autorità ecclesiastica, contro le sue pretese di «entrare con forza nella vita quotidiana» e di «combattere senza tregua tutte le idee e le pratiche ritenute lesive dell'ortodossia, anche quelle più insignificanti, da sempre trascurate o rimesse allo zelo pastorale di vescovi, curati e confessori» (p. VII): non mancarono tuttavia moltepli resistenze, variamente modulate nel popolo, nella borghesia, nel ceto aristocratico fatte di espedienti, artifici, ipocrisie, talora anche grazie alla saggezza pastorale di parroci pronti a chiudere un occhio, ma anche della scelta di "tenersi" la scomunica e talora addirittura di plateali proteste e rabbiose ribellioni, spesso all'origine di ulteriori più gravi guai per i malcapitati, quasi sempre donne, ferite nell'onorabilità, talora costrette a separarsi dai figli, spesso rimaste prive di ogni forma di sostentamento. Da questo tenace «impegno moralizzatore» (p. 165) di vescovi e vicari per imporre alla società un severo «governo della sessualità» (p. 73), certo responsabile di molte sofferenze e approdato infine a scarsi risultati emerge un quadro tutt'altro che edificante del cosiddetto «disciplinamento» tridentino. L'intransigenza con cui la Chiesa cercè di regolare la vita sessuale e familiare dei fedeli contrasta vistosamente, per esempio, con la sostanziale tolleranza nei confronti del flagello dell'usura, evidentemente ritenuto di rilevanza morale assai inferiore al concubinato. Nel suo riflettere una scala di priorità, anch'essa destinata a lunga durata, è questo un dato su cui riflettere, anche perché - come sempre - solo nelle sue radici storiche il presente può rivelarsi intelligibile.
Giovanni Romeo, «Amori proibiti. I concubini tra Chiesa e Inquisizione», Laterza, Roma-Bari, pagg. 256, € 18,00.
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