Un altro tesoro del Neolitico in cantina in attesa del nuovo museo

Un altro tesoro del Neolitico in cantina in attesa del nuovo museo
Luca Angelini
20 luglio 2009, Corriere della Sera

Mantova

Il cacciatore e il suo cane vennero sepolti insieme sei o settemila anni fa nella zona di Valdaro

Orione e Sirio ora cercano casa



Sono romantici, questi primitivi. Prima gli Amanti, gli scheletri abbracciati da seimila anni. Adesso Orione e Sirio, ma potremmo anche chiamarli Osso e Molosso: insomma, un cacciatore e il suo cane. Pure loro scheletrici, pure loro sepolti assieme, sei o settemila anni fa, e pure loro vicino a Valdaro, nella zona del porto fluviale di Mantova, a due chilometri scarsi in linea d’aria dagli Amanti.

Gli scavi della Sap, la società che esegue i rilievi per conto della Soprintendenza archeologica, mandano in onda uno dopo l’altro neolitici spot in omaggio ai buoni sentimenti. Oltretutto con un tempismo degno d’un esperto di marketing: i Romeo e Giulietta della preistoria vennero scoperti nel febbraio del 2007, pochi giorni prima di San Valentino. Qualcuno li utilizzò per promuovere la ricorrenza, un quotidiano addirittura per una prima pagina polemica su Pacs e Dico. Adesso, con Osso e Molosso, qualche creativo farà forse lo stesso, magari, chissà, per una campagna contro l’abbandono estivo degli animali, visto il periodo.

Anche se, a ben guardare, per il preistorico miglior amico dell’uomo l’essere sepolto ai piedi del suo padrone significò probabilmente un’interruzione forzata del proprio passaggio terreno (e non è escluso che lo stesso sia capitato a uno degli Amanti). Ma, insomma, non è il caso di sottilizzare.

Meglio gioire dell’ennesimo scheletro da giostra mediatica (per gli Amanti si scomodarono anche Cnn e Al Jazeera), come fa la responsabile in loco della Soprintendenza, toccando, alla lettera, il proverbiale cielo con un dito: «Abbiamo voluto chiamarli il cacciatore Orione con il suo cane Sirio perché in estate, in cielo, c’è la costellazione di Orione con il canis maior, la stella di Sirio».

Forse, però, converrebbe guardare anche a problemi più terra terra. Tipo quello del museo che non finisce mai. Era il 1989 quando il ministero dei Beni culturali decise che nell’ex teatro di corte dei Gonzaga, annesso a palazzo Ducale, poi mercato dei bozzoli di seta e infine ingrosso ortofrutticolo, sarebbe nato il museo archeologico di Mantova: tre piani, duemila metri quadrati, una sezione per le mostre temporanee, una per le collezioni permanenti e spazi per convegni, laboratori, apparati multimediali. L’ultima tranche di lavori, finanziata all’epoca con 9,3 miliardi di vecchie lire arrivate dai proventi del Lotto, partì nel settembre 2006. «Ancora 500 giorni e il museo sarà pronto» annunciò allora la responsabile del nucleo operativo della Soprintendenza archeologica. La data di fine lavori era sul cartello all’ingresso del cantiere, ormai un reperto pure quello: 1 febbraio 2008. Niente da fare. Il museo resta confinato a una sola sala.

Gli Amanti sono dietro una parete, confinati in uno stanzino, nella loro zolla di terra chiusa in un cassone di legno, visibili solo agli occhi elettronici del sistema dall’allarme. Osso e Mo-losso, pardon Orione e Sirio, già «prelevati» dal terreno di Valdaro, ora arrivano a far loro compagnia, insieme allo scheletro di un uomo sepolto a faccia in giù (suggeriamo di chiamarlo il Trapassato Prono) e a quello di una donna inumata con accanto un vasetto, trovati nello stesso punto di cane e cacciatore. Sperando che i quattro milioni e mezzo di euro che mancano per vederli esposti nel museo completato arrivino prima che tutti si siano dimenticati di loro. E prima che altri scheletri s’accumulino nel retrobottega.

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